Avremmo (tanto) bisogno di ambientalisti più preparati

índios

Volevo raccontarvi questa storia. Qualche settimana fa salivo sulla cima del Morro Dois Irmãos, a Rio de Janeiro, incrociando tante persone, tra cui tre italiane. Mi chiedono di scattare una foto in un inglese rivedibile, dico che sono italiano. Pare si sentano improvvisamente molto più a loro agio, e in diritto di raccontarmi cose a cui io potrei non essere interessato. Mi dicono che stanno facendo tre mesi di volontariato con una ONG che si occupa di diritti umani da qualche parte a qualche ora di macchina da Rio. Conto due zainetti di cuoio e un Invicta con una bandierina #notav cucitagli sopra in modo sbilenco. Scarpe molto molto poco adatte a un trekking, inoltre.

Una di loro a un certo punto si stacca e sale su una roccia sporgente, abbozza qualcosa su un libretto nero. Alle sue amiche dice la seguente frase (tenetevi forte che potreste volare via):

Ah, se in Italia avessimo solo la metà del rispetto per l’ambiente che hanno qui in Brasile… Qui è tutto così incontaminato.

Le amiche le danno subito ragione, s’indignano un po’, poi tornano a scattare foto con l’iPhone in modalità panoramica.

Io mi godo la scena, mi domando che tipo di studi possano aver fatto le tre ragazze (azzardo un scienze politiche, capendone molto poco, evidentemente) e se abbiano mai visto un telegiornale o letto un quotidiano brasiliano. Probabilmente no, mi rispondo.

Forse andrebbe loro raccontato che se qui c’è bisogno di fare un buco in una montagna, si fa. Se c’è da fare un ponte o una diga, si fa. Se c’è un edificio che ostacola la nuova strada in costruzione, qui si butta giù, in linea di massima. I mari, i laghi e i fiumi sono così inquinati che il Comitato Olimpico Internazionale ha chiesto al Comitato organizzatore di bonificare le acque sede di competizioni acquatiche a Rio 2016 (bonifiche mai effettuate e che mai sarà possibile fare). Un’inchiesta di Associated Press rivela che gli atleti alle prossime Olimpiadi “nuoteranno e navigheranno in acque così contaminate dalle feci umane che sono a serio rischio di contrarre malattie”. Qui un articolo del Guardian spiega bene come si è arrivati a questo punto, e qua un video di Rep, per i più pigri.

Le si potrebbe anche invitare a cena per parlarle della progettata diga di Belo Monte, nel cuore della foresta amazzonica, sul fiume Xingu. Il progetto prevede cinquecento chilometri quadrati di acqua che invaderanno terre abitate da índios che se ne dovranno andare (senza essere stati consultati dal governo di Dilma). Per alcuni è una prospettiva di assoluta distruzione ambientale (dove la Tav della Val di Susa, in confronto, risulterebbe un gioco di bimbi sulla sabbia), per altri un modo per continuare a crescere (e per crescere occorre una quantità enorme di energia, in questo caso idroelettrica, di cui il paese ha sempre più bisogno). Inutile forse dire che su questa grande opera i sospetti di corruzione sono qualcosa in più di semplici sospetti.

Forse, insomma, alle tre ragazze andrebbero raccontate storie come queste. Perché alla fine spesso si riduce tutto a una questione di credibilità. Non bastano le bandierine #notav, il volontariato-vacanza per fare di questo mondo un posto migliore. Occorrerebbe provare ad essere competenti, informarsi, onde evitare per esempio di prendere il Brasile come modello di Stato che rispetta l’ambiente e chi lo abita da millenni.

Ma non racconto nessuna storia, preferisco non svegliarle dal loro sonno, un sonno molto, troppo pesante.

Contro il liceo in lingua inglese

 

Leggo commenti entusiasti sull’Internet per questa cosa del primo liceo pubblico totalmente in inglese. Passerò da reazionario ma francamente questa cosa a me perplime.

Siamo il paese dove l’analfabetismo funzionale tocca percentuali vicine al 50 per cento (superiamo anche il Messico, per dire). Ci sono persone che arrivano alla Maturità senza saper riempire un foglio protocollo con frasi sensate e corrette grammaticalmente (e che arrivate all’università hanno il coraggio di lamentarsi se viene chiesto loro di scrivere una qualunque cosa superi i 500 caratteri), persone che non solo non leggono libri e giornali ma che se li leggessero non sarebbero in grado di comprenderli.
Darsi un’occhiata ai dati emersi dall’ultimo test PISA (consci dei limiti che questo tipo di test hanno), svoltosi nel 2012, per provare a farsi un’idea.

L’Italia ottiene risultati inferiori alla media dei Paesi dell’OCSE in matematica (si colloca tra la 30esima e 35esima posizione), in lettura (tra la 26esima e 34esima) e in scienze (tra la 28esima e 35esima) rispetto a 65 Paesi ed economie che hanno partecipato alla valutazione PISA 2012 degli studenti quindicenni.  

Insomma, siamo un paese composto di persone che mediamente non hanno gli strumenti per comprendere i fenomeni che direttamente influenzano la loro vita e vorremmo permetterci il lusso di dare la possibilità di frequentare un liceo in inglese?

Poi, certo, ci sarebbe da capire se il corpo docente sia effettivamente capace e preparato a fare lezione in inglese. Io credo di no (e forse non solo io visto che agli insegnanti del liceo milanese in questione si chiede una conoscenza di livello B1 dell’inglese) ma questo è un altro discorso. O forse no, poiché, ammesso che tra, diciamo venti anni, lo sia, la domanda di fondo rimane: vogliamo veramente che i nostri figli a 13/14 anni, smettano di scrivere in italiano e lo facciano solo in inglese? Perché la possibilità che poi sappiano scrivere un buon paper (almeno dal punto di vista grammaticale) in inglese è alta, ma altrettanto alta è la probabilità che non siano in grado di partecipare a un concorso pubblico nel paese dove hanno frequentato il liceo.

Ora, qui non viviamo nel mondo delle favole. Siamo consapevoli che scuole private americane, francesi et al. esistono ovunque da decenni. Qui a Sao Paolo per esempio ce ne sono tantissime, e molti dei miei colleghi brasiliani le hanno frequentate, e oggi molto probabilmente fanno parte di quel 75% di analfabeti funzionali presenti in Brasile.

Conforme dados de 2005 do IBOPE, no Brasil o analfabetismo funcional atinge cerca de 68% da população (30% no nível 1 e 38% no nível 2). Somados esses 68% de analfabetos funcionais com os 7% da população que é totalmente analfabeta, resulta que 75% da população não possui o domínio pleno da leitura, da escrita e das operações matemáticas, ou seja, apenas 1 de cada 4 brasileiros (25% da população) é plenamente alfabetizado, isto é, está no nível 3 de alfabetização funcional.

Niente di male, son scelte personali (o spesso dei loro genitori, ma poco cambia). Chi però se non la scuola pubblica, invece, dovrebbe avere il compito di difendere e insegnare la lingua del proprio paese? E, tornando all’Italia, ha o no la sua scuola pubblica tra i suoi doveri e obiettivi anche quello di preparare i propri studenti alla comprensione di un quotidiano e quello di rendere possibile loro la partecipazione e l’eventuale successo in un qualunque concorso pubblico locale o nazionale che sia? Secondo me sì.

Ché poi nel mondo di lavoro di oggi, chi sa l’inglese, è generalmente più avvantaggiato, siamo al punto di rimarcare l’ovvio. Se però, io stato, devo scegliere se dare la precedenza alla conoscenza delle lingua inglese a favore di quella italiana, sorgono dei problemi. Se non riesco a garantire l’alfabetizzazione ai miei studenti, allora sto sbagliando qualcosa.

Nel mondo che vorrei nessun diplomato è funzionalmente analfabeta. Nello medesimo mondo che vorrei ogni diplomato ha una conoscenza della lingua inglese in linea con gli altri paese europei (grazie a un potenziamento dell’insegnamento della lingua inglese e ad una selezione senza sconti dei professori, a cui non deve e non può più bastare una laurea in lingue all’Università di Urbino).

Ma questo, appunto, non è il mondo che vorrei. È il mondo reale, un mondo a risorse limitate, dove è necessario fare tutto il possibile per alfabetizzare i nostri ragazzi (che suona molto “i nostri marò”, lo so e me ne scuso preventivamente). Se avremo successo nel garantire questo minimum standard, allora, forse, potremmo pensare ad impartire tutte le lezioni di cinque anni di liceo in lingua inglese.