Persone da combattere, per un mondo migliore

I have no nationality. I’ve lived in so many places that I don’t like to define myself as a Canadian.

A quel punto era obbligatorio mettere mano alla fondina, nell’attesa di un “I am a citizen of the world”. Per fortuna non arriva, ma la guardia non va mai abbassata con queste persone, potenzialmente e, de facto, molto pericolose (oltre che odiose).

Quando la sequestreranno durante un viaggio in autostop in Africa (perché ormai gli altri viaggi son troppo mainstream, avrebbe detto se avessi avuto il coraggio di parlarci di più), chiederà al Ministero degli Affari Esteri del Mondo o a quello canadese di trattare per la sua liberazione? 

Infine, lo dica ai 10 milioni di persone che la nazionalità non ce l’hanno davvero, non per finta, come lei, che gioca a fare la poeta maledetta a Dublino, con le IPA degli altri e le ciocche dei capelli verde-azzurre – quelle sue, per fortuna.

La mia San Paolo del Brasile

Non ci andate, a San Paolo. E siccome questa non è una guida Routard o un post su Vice Italia, non aspettatevi che alla fine vi dica che sì, non potete perdervela, che “a suo modo, è una chicca”. Non ci saranno ribaltamenti, San Paolo non è bella.

San Paolo è, anzi, brutta, a tratti molto brutta. Ma ci ho vissuto. 

Alzavo lo sguardo sui palazzi del centro. San Paolo del Brasile. Città difficile. Da capire, da vivere.

Il cielo non è mai azzurro, di notte non è nero (ci arriva il riverbero delle luci), e non è neanche plumbeo. È un cielo strano quello di San Paolo, e non vuole essere definito.

San Paolo non “è particolare”, non “ha il suo fascino”. San Paolo, semplicemente, non è. San Paolo è un non-luogo. Non c’è grande bellezza, a San Paolo.

San Paolo, nonostante l’ora, non è mai del tutto deserta. Anche di notte, ti capita di vedere gente. Pare irrequieta. Forse per questo tarda ad andare a dormire.

C’è tanto cemento armato e molto grigio (nonostante il parco urbano più grande del pianeta si trovi a due passi da Avenida Paulista, il cuore pulsante della città – sì, l’ho scritto davvero), ma se ci sai mettere i filtri giusti pare quasi bella. È vero però con la luce giusta e un Sierra ben assestato è bella anche Terni. O no?

San Paolo accoglie circa 20 milioni di persone, accoglie tutti. Qui c’è tutto infatti: ci sono le favelas, i grattacieli, le case basse, tutte uguali, tutto neutro.

E chi non ha un tetto dorme per strada, tanto le temperature lo permettono praticamente in qualsiasi periodo dell’anno.

San Paolo è gigante. È una vera metropoli. Offre una buona scena musicale, una sconfinata scelta culinaria – dal miglior ramen fuori dal Giappone a ottimi ristoranti italiani che, tuttavia, lascio provare agli altri, non ambendo a pagare venti euro una gricia – e un’estremamente vivace (ma come scrivo? Male, sarà il sonno) vita notturna.

  
San Paolo incuba cambiamento, cultura, arte. O meglio, se c’è una città in America Latina che sa fare questo meglio delle altre, quella è lei, Sampa. Ho letto così, almeno.

E allora, se è brutta, perché ci ho passato, parentesi romane a parte, quasi cinque mesi? La risposta corretta è che avevo chiesto io, alla LUISS, di mandarmici, mettendola come prima scelta a un bando per passare un semestre all’estero, per poi vincerla. 

Un’altra possibile risposta (quella che mi piace darmi) è che la vita è troppo lunga per vivere solo nelle città belle. Quindi no, non ci andate a San Paolo. Se proprio vi va, viveteci, che è diverso. E magari ve ne innamorate. 

(Ci si può innamorare anche delle cose brutte, dicono.)

Fino alla fine, al 110 di viale Aventino

Scritto con Marco Toselli

Seguire la Juventus da Roma ha un vantaggio: nei paraggi ci sarà sempre qualcuno pronto a gufare per la tua squadra. E questo mette di buonumore, prepara allo status pre-partita di un gobbo tipico.

Seguire la Juventus da Roma con un altro juventino è un’esperienza diversa. Aumenta la sindrome di accerchiamento, ti senti un po’ come il famoso panda in estinzione. Eppure per la Juve è stato l’anno che è stato.

Questo ha comportato 12 partite di Champions League, seguite tutte a Roma, seguite tutte tra amici panda e qualche gufo, ogni tanto.

I gironi. La fase in cui lo juventino segue il ritmo naturale delle stagioni e perde le foglie, pensa che sia tutto brutto, che anche quest’anno di schiaffi ne arriveranno, puntuali come l’inverno, a dicembre, e non cambia mai niente, ché poi anche se la prossima estate compriamo Cavani il salto di qualitá non arriva. Ma Cavani non viene da noi se la Roma vince il campionato, accidenti.

Succede l’irreparabile e l’Olympiakos non ci batte. Per lo juventino romano è uno shock, è una presa di coscienza al contrario: pensavamo di avere delle certezze.

Alla fase a eliminazione, i gufi si fanno più presenti. Casa di amici, pub, hamburgeria: il modulo è sempre lo stesso: due contro tutti. Quasi ti viene da accarezzarli, provi tenerezza per loro. Non ti azzardi a sfottere che magari qualcuno ha vinto coppe importanti di recente, e Mourinho, e la squadra più forte del mondo, tanto vale tutto. Insomma, profilo basso e occhi su Padoin.

Pizze ordinate e portate: pizze con patatine e wurstel, da fuorisede vero e da stomaco che si prepara al secondo tempo del Bernabeu. C’è quello che ha fatto l’erasmus a Madrid e quindi Hala Madrid come se piovessero. Ma piove anche birra, birra con lo stemma della Champions e bicchieri contati. Salatini, patatine aromatizzate e altre porcate assortite.

La finale è il momento più indecifrabile. Sei il chiaro bersaglio degli sguardi dei tifosi cittadini, sei preso di mira, ma allo stesso tempo guardato con circospezione. Fino al giorno della finale la sensazione è quella di un avvenimento non concepibile per la tua mente: non solo non sei pronto a vedere la finale di Champions League, sei ancora meno pronto a farlo a Roma.

Non devi pensarci al dopo ma ci pensi, ci pensi eccome.

La finale sarà only panda, non per scelta ma per cause di forza maggiore, e va bene, è giusto così.

Pogba, rimbalzo sporco fuori dall’area, stop, poi… Ti svegli, è il 6 giugno. (Sei sudatissimo.)